martedì 26 giugno 2012

L'amicizia di Cicerone









Molto spesso,a me sembra,quando penso all'amicizia,che si debba considerare sopratutto una questione:se l'amicizia sia desiderata per la nostra debolezza e povertà,in modo che,nel dare e nel ricevere ricevere favori,ciascuno riceva all'altro e a sua volta renda,ciò che da solo non potrebbe;oppure se,pur essendo questa la pecularietà dell'amicizia,la causa sia un'altra più importante,più bella e provieniente dalla stessa natura.L'amore,da cui prende nome l'amicizia,è il primo impulso a farci unire per affetto.
Certo,spesso si ricevono vantaggi anche da quelli che si coltivano e si onorano,per l'urgenza del momento,simulando amicizia.ma nell'amicizia non c'è niente di falso,niente di simulato e,tutto ciò che vi è,è vero e spontaneo.Perciò mi sembra che l'amicizia abbia orgine più dalla natura che dalla necessità,più per una propensione dell'anima,insieme a un certo sentimento d'amore,che per la considerazione di quanta utilità potrebbe avere in futuro.

Cicerone

Tratto da  "Laelius de amicitia"L'amicizia" di Cicerone



sabato 23 giugno 2012

Leda e il cigno




Attraente creatura, quale magia nei tuoi occhi!
Quale sortilegio hai operato nel mio cuore?
Le mie mani poso sulle tue bianche piume
e d’incanto sento il respiro del mio amato.

Tratto dalla poesia "Il Cigno"
Di Carmen Auletta












Leda fu la moglie del re di Sparta Tindaro.Madre dei Dioscuri,castore e Polluce,di Clitennestra, Elena di Troia e di Timandra.Alcune leggende narrano che Zeus s'invaghì di Leda,e sotto le spoglie di un magnifico cigno le apparve sulle sponde del lago Eurota .Stordita dal sonno e dalle carezze delle morbide piume fu posseduta dal dio.In seguito Leda depose un uovo dal quale nacquero Elena, Castore e Polluce.Leda in seguito fu deificata col nome Nemesi.

Giampietrino. - Pittore (prima metà sec. 16º), attivo a Milano. Sarebbe, secondo alcuni, quel Pietro Rizzo milanese menzionato da G. P. Lomazzo; secondo altri, G. Pedrini o Giovanni da Milano o Giovanni da Como o G. B. Belmonte. Mancano documenti né vi sono di lui opere firmate; la sua figura è costruita solo su base stilistica. Tra le sue opere principali: a Milano, due mezze figure della Maddalena e una Madonna col Bambino, non finita (Brera); una Natività (chiesa del S. Sepolcro); il polittico nell'Ospedaletto Lodigiano. Formatosi sugli esempî milanesi di Leonardo, fu un significativo esponente della scuola lombarda.

Fonte:

http://www.treccani.it/enciclopedia/giampietrino/

mercoledì 20 giugno 2012

Misteri e cattedrali





La cattedrale di Parigi,come la maggioranza delle basiliche metropolitane,è posta sotto la protezione della benedetta Vergine Maria o vergine Madre.In Francia queste chiese si chiamano comunemente,Notre Dame,Nostra Signora.In sicilia hanno un nome ancora più espressivo,Matrici.Dunque sono proprio templi dedicati alla Matrona(lat. Mater,matris), nel senso primitico,termine che per corruzione è diventato Madone(ital. Madonna), mia signora,e,che per estensione,Notre Dame.
Superiamo la grata del portico e iniziamo lo studio della facciata dal portale maggiore,detto centrale o del giudizio.
Il pilastro di mezzo,che divide in due il vano d'ingresso,presenta una serie di allegorie delle scienze medioevali.Di fronte al sagrato-al posto d'onore-l'alchimia è raffigurata da una donna la cui fronte sfiora le nubi.Seduta su un trono,tiene con la sinistra uno scettro-insegna di sovranità-mentre la destra regge due libri,uno chiuso(esoterismo),l'altro aperto(essoterismo).Stretta tra le ginocchia e appoggiata al suo petto s'nnalza la scala di nove gradini-scala philosophorum-geroglifico della pazienza che devono possedere i suoi fedeli nel corso delle nove operazioni successive del lavoro ermetico-La pazienza è la scala dei filosofi,e l'umiltà e la porta del loro giardino;Perchè a chiunque persevererà senza orgoglio e senza invidia Dio farà misericordia-La cattedrale,dunque,si presenta fondata sulla dottrina ermetica che studia le trasformazioni della sostanza originaria,della Materia elementare(lat.materia,radice mater,madre).Perchè la Vergine Madre,spogliatasi del velo simbolico,non è altro che personificazione della sostanza primitiva,di cui si è servito il principio creatore,di tutto ciò che è per realizzare i propri disegni.Questo è il senso,peraltro chiarissimo,della singolare epistola che si legge durante la messa dell'Immacolata Concezione della Vergine:
-Il Signore mi ha posseduto all'inizio delle sue vie.Io ero prima che egli formasse qualsiasi altra creatura.Io ero dall'eternità,prima che la terra fosse creata.Gli abissi non c'erano ancora ed ero già stata concepita.Le fontane non erano ancora uscite dalla terra;La pesante massa delle montagne non era stata ancora formata;Prima delle colline ero già generata.Non aveva ancora creato nè la terra nè i fiumi,nè fissato il mondo sui poli.Quando preparava i cieli,ero presente;quando circoscriveva gli abissi con i propri limiti e stabiliva una legge inviolabile;quando fissava l'aria sopra la terra;quando dava equilibrio alle acque delle fontane;quando rinchiudeva il mare nei suoi limiti e imponeva una legge alle acque perché non superassero i loro confini;quando gettava le fondamenta della terra,io ero con lui e stabilivo ogni cosa-

Fonte:Il mistero delle cattedrali

Fulcanelli-Ed. Mediterranee 

giovedì 14 giugno 2012

LA TARANTELLA








Già la luna in mezzo al mare, 
mamma mia,si salterà;
l'ora è bella per danzare,
chi è in amor non mancherà.
Già la luna in mezzo al mare, 
mamma mia,si salterà;
l'ora è bella per danzare,
chi è in amor non mancherà.
Già la luna in mezzo al mare,
mamma mia si salterà.
Presto in danza a tondo a tondo,
donne mie, venite quà;
un garzon bello e giocondo 
a ciascuna toccherà.
Finché in ciel brilla una stella 
e la luna splenderà,
il più bel con la bella
tutta notte danzerà.
Mamma mi, mamma mia, 
già la luna è in mezzo al mare,
mamma mia, mamma mia, 
mamma mia,si salterà,
frinche, frinche, frinche, frinche frinche,
mamma mi, mamma mia, 
mamma mia,si salterà,
la la la ra 

la ra .....
Salta, salta, gira, gira,
ogni coppia a cerchio va;
già s'avanza,
si ritira e all'assalto tornerà:
Salta, salta, gira, gira,
ogni coppia a cerchio va;
già s'avanza,
si ritira e all'assalto tornerà.
Serra, serra colla bionda,
colla bruna qua e là,
colla rossa va a seconda,
colla smorta fermo sosta.
Viva il ballo a tondo a tondo, 
sono un re,sono un pascià;
è il più bel piacer del mondo,
la più cara voluttà.
Mamma mia, mamma mia,
Già la luna in mezzo al mare, 
mamma mia,mamma mia, si salterà;
frinche, frinche, frinche,
frinche, frinche, frinche,
mamma mia si salterà,
frinche, frinche, frinche,
frinche, frinche, frinche,
mamma mia si salterà,
la la la ra la ra .....





martedì 5 giugno 2012

Odissea

Ulisse e Penelope particolare (Francesto Primaticcio)


Libro ventitreesimo

La buona vecchia gongolando ascese
Nelle stanze superne, alla padrona
Per nunzïar, ch'era il marito in casa.
Non le tremavan più gl'invigoriti
Ginocchi sotto; ed ella a salti giva.
Quindi le stette sovra il capo, e: "Sorgi",
Disse, "Penelopèa, figlia diletta,
Se il desìo rimirar de' giorni tutti
Vuoi co' propri occhi. Ulisse venne, Ulisse
Nel suo palagio entrò dopo anni tanti,
E i proci temerari, onde turbata
La casa t'era, consumati i beni,
Molestato il figliuol, ruppe e disperse".

E Penelope a lei: "Cara nutrice,
Gl'Iddii, che fanno, come lor talenta,
Del folle un saggio e del più saggio un folle,
La ragion ti travolsero. Guastâro
Cotesta mente, che fu sempre intègra,
Senza dubbio gl'Iddii. Perché ti prendi
Gioco di me, cui sì gran doglia preme,
Favole raccontandomi, e mi scuoti
Da un sonno dolce, che, abbracciate e strette
Le mie tenea care palpebre? Io mai,
Dacché Ulisse levò nel mar le vele
Per la malvagia innominanda Troia,
Così, no, non dormìi. Su via, discendi,
Balia, e ritorna onde movesti, e sappi,
Che se tali novelle altra mi fosse
Delle mie donne ad arrecar venuta,
E me dal sonno scossa, io rimandata
Tostamente l'avrei con modi acerbi:
Ma giovi a te, che quel tuo crin sia bianco".

"Diletta figlia", ripigliò la vecchia,
"Io di te gioco non mi prendo. Ulisse
Capitò veramente, ed il suo tetto
Rivide al fin: quel forestier da tutti
Svillaneggiato nella sala è Ulisse.
Telemaco il sapea: ma scortamente
I paterni consigli in sé celava,
Delle vendette a preparar lo scoppio".

                        (Penelope disfa il suo lavoro)Particolare del dipinto di J. Wright of Derby

         
                                                                                          

               

Giubbilò allor Penelope, e, di letto
Sbalzata, al seno s'accostò la vecchia,
Lasciando ir giù le lagrime dagli occhi,
E con parole alate: "Ah! non volermi,
Balia cara, deludere", rispose.
"S'ei, come narri, in sua magione alberga,
Di qual guisa poté solo agli audaci
Drudi, che in folla rimaneanvi sempre,
Le ultrici far sentir mani omicide?"

"Io nol vidi, né il so", colei riprese:
"Solo il gemer di quei, ch'eran trafitti,
L'orecchio mi ferìa. Noi delle belle
Stanze, onde aprir non potevam le porte,
Nel fondo sedevam, turbate il core;
Ed ecco a me Telemaco mandato
Dal genitor, che mi volea. Trovai
Ulisse in piè tra i debellati proci,
Che giacean l'un su l'altro, il pavimento
Tutto ingombrando. Oh come ratto in gioia
La tua lunga tristezza avresti vôlta:
Se di polve e di sangue asperso e brutto,
Qual feroce leon, visto l'avessi!
Or, del palagio fuor tutti in un monte
Stannosi; ed ei con solforati fuochi,
Ei, che a te m'inviò nunzia fedele,
La nobile magion purga e risana.
Seguimi adunque; e dopo tanti mali
Ambo schiudete alla letizia il core.
Già questo lungo desiderio antico,
Che distruggeati, cessa: Ulisse vivo
Venne al suo focolare, e nel palagio
Trovò la sposa e il figlio, e di coloro,
Che gli noceano, vendicossi a pieno".

"Tanto non esultar, non trïonfare,
Nutrice mia", Penelope soggiunse,
"Perché t'è noto, quanto caro a tutti,
E sovra tutti a me caro, e al cresciuto
Suo figlio e mio, capiterebbe Ulisse.
Ma tu il ver non parlasti. Un nume, un nume
Fu, che dell'opre ingiuste e de' superbi
Scherni indegnato, mandò all'Orco i proci,
Che dispregiavan sempre ogni novello
Stranier, buon fosse, o reo: quindi perîro.
Ma Ulisse lungi dall'Acaica terra
Il ritorno perdé, perdé la vita".

"Deh quale, o figlia, ti sfuggì parola
Dalla chiostra de' denti?" a lei la vecchia.
"Il ritorno perdé, perdé la vita,
Mentre in sua casa e al focolar suo sacro
Dimora? Il veggio: chiuderai nel petto
Un incredulo cor, finché vivrai.
Se non che un segno manifesto in prova
Ti recherò; la cicatrice onesta
Della piaga, che in lui di guerreggiato
Cinghial feroce il bianco dente impresse;
Quella, i piedi lavandogli, io conobbi
E volea palesartela: ma egli,
Con le mani afferrandomi alla bocca,
D'accortezza maestro, il mi vietava.
Séguimi, io dico. Ecco me stessa io metto
Nelle tue forze: s'io t'avrò delusa,
La morte più crudel fammi morire".

E di nuovo Penelope: "Nutrice,
Chi le vie degli dèi conoscer puote?
Né tu col guardo a penetrarle basti.
Ogni modo a Telemaco si vada,
E la morte de' proci e il nostro io vegga
Liberatore, un uomo ei siasi o un nume".

Odissea (Omero)