Il porto è esposto a settentrione, in ombra.
Le banchine sono alte sull’acqua nera che sbatte
contro le murate; vi scendono scale di pietra
scivolose d’alghe. Barche spalmate di catrame
aspettano all’ormeggio i partenti che s’attardano
sulla calata a dire addio alle famiglie.
I commiati si svolgono in silenzio ma con lacrime.
Fa freddo; tutti portano scialli sulla testa.
Un richiamo del barcaiolo tronca gli indugi;
il viaggiatore si rannicchia a prua,
guardando verso il capannello dei rimasti;
da riva già non si distinguono i lineamenti;
c’è foschia; la barca accosta un bastimento all’ancora;
sulla scaletta sale una figura rimpicciolita; sparisce;
si sente alzare la catena arrugginita
che raschia contro la cubia. I rimasti s’affacciano
agli spalti sopra la scogliera del molo, per seguire
con gli occhi la nave fino a che doppia il capo;
agitano un’ultima volta un cencio bianco. Mettiti in viaggio,
esplora tutte le coste e cerca questa città, dice il Kan a Marco.
Poi torna a dirmi se il mio sogno risponde al vero.
Perdonami, signore: non c’è dubbio che presto o tardi
m’imbarcherò a quel molo,dice Marco,ma non tornerò a riferirtelo.
La città esiste e ha un semplice segreto:
conosce solo partenze e non ritorni.
Le città invisibili(Italo Calvino